martedì 19 febbraio 2013


Kassia sono le due e mezza, dobbiamo fare il giro di controllo!
_Ma non ho ancora finito il capitolo!
_Kassia! Sei una perditempo! Alzati!
_Arrivo! Ma questo libro è davvero interessante! Cosa stai mangiando?
_Confetti.
_E da dove arrivano?
_Dalla rompipalle!
_Sei riuscita a placarla?
_Non beve quel maledetto the! Ma giuro che se entro mezz’ora non dovesse dormire la sedo con un pugno in testa!
_Ma che te frega! Lasciala sveglia! Domani sarà più remissiva! Tu sei troppo rabbiosa!
_E’ per questo che me ne vado!
_Si ma cosa credi che in ospedale la gente sia migliore? Sono tutti piangenti, purulenti, arroganti, impauriti, puzzolenti, scortesi, ignoranti attaccati a tubi sanguinolenti e vomitano tutti quintali di merda. Perché hai scelto questo lavoro? Non sopporti nemmeno la morte! Scommetto che alla tua prima autopsia sei svenuta! Ti devi lasciare scivolare le cose da dosso! Altrimenti non sopravvivi! Dal giorno in cui te ne andrai controllerò il giornale tutti i giorni!
_Perché?
_”Infermiera killer” Uccideva i pazienti per alleviare il mondo dalle piaghe sociali. Ha ha ha!
_Scema! Dai allora facciamo che io uomini e tu donne, non fermarti nella stanza della rompistorie!
_Sono tutti rompistorie!
Sara fece il suo giro molto velocemente, aveva fatto male a lasciare le donne a Kassia si sarebbe fatta intortare dalla vecchia! Sapeva che l’avrebbe trovata in camera con lei, non aveva voglia di ascoltare aneddoti per tutta la notte! Sistemò due coperte, un catetere, una persiana, l’ossigeno e scoprì un nuovo morto ma doveva correre da Kassia, in cuor suo lo sapeva, lo sentiva, Kassia era troppo facile da far abboccare!
_Kassia!
_Sara! Siediti qui con noi! Vuoi un confetto?
Kassia era seduta sul letto della sig.ra Lucia e sgranocchiava confetti manco fossero noccioline.
_Dobbiamo tornare in guardiola e la signora deve dormire!
_Signorina, si sieda qui con noi, non ho ancora sonno, prenda un confetto!
_Dai Sara il prossimo girò è alle sei! Abbiamo tre ore se dormo io non mi sveglio più!
Sara lanciò un’occhiata alla tazza sopra il comodino, era vuota, la signora aveva bevuto il the, con due tavor in corpo si sarebbe addormentata a breve!
_Va bene, passatemi quei confetti! Di cosa state parlando?
_Esperienze da infermiere!
_Ooooooooo e la cosa dovrebbe impressionarmi?
La signora Lucia le lanciò uno sguardo tagliente
_Sei una poppante arrogante! Cosa credi di sapere tutto? Credi che il lavoro in ospedale sia semplice o scontato?
Sara che si sentiva molto più rilassata rimase immobile in silenzio, si voltò verso Kassia che rideva sguaiatamente, il suo respiro si era fatto più lento e non sentiva resistenze, probabilmente non riusciva più a passare una notte completamente in bianco, stava iniziando a perdere colpi.
_Signora, sentiamo allora, come ci si comporta in ospedale?
_Bene, vedo che vuoi ascoltare la mia storia! Allora inizio dal principio: io sono nata in un piccolo paese sperduto tra le montagne, non c’era e non c’e niente…
_Ecco perché non voglio ascoltare i pazienti, perché partite sempre a raccontare l’inizio della vostra vita! Quanti anni devo aspettare prima di arrivare alla storia vera?
_Cara, stai zitta! …vuoi un altro confetto?
Sara allungò la mano ma lo sguardo della signora la fece desistere, era inquietante, la sua gentilezza era forzata come se lo facesse per costringerla a mangiare, comunque con flemma quasi innaturale prese un altro confetto e lo portò alla bocca, si sentiva molto rilassata, si era fatta sopraffare dalla stanchezza della notte, voltò il viso e si accorse che Kasia la stava osservando da vicino, troppo vicino! Con la bocca aperta in un mezzo sorriso inebetito e l’occhio a mezz’asta.
_eeeeeeeeeeeeeestai zitta…. Dai che voglio sentire…. Dai dai!
Kasia raccolse un rivolo di bava al lato della bocca
_Kasia stai bene?
_Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, sto benone. Ssssssssssssssssssssssssssssssssst!
_Allora! Dicevo, sono nata in un paesino sperduto tra le montagne, odiavo quel posto, non c’era nulla, solo pascoli, mucche e tanti vaccari.

* * *

Le campane rintoccavano le sei, Lucia odiava quel suono, era come una litania che echeggiava tra i monti e si perpetuava nella solitudine dei pascoli. La montagna si scaldava nuovamente dopo un lungo inverno e lei pur riempiendosi i polmoni di sole detestava l’idea di dover restare bloccata li.
Aveva terminato la scuola magistrale e ora mancava poco per raggiungere il suo sogno anche se per poter frequentare l’istituto infermieristico sarebbe dovuta andare a Milano.
_Ciao mamma.
_Allora ti tengono a lavorare?
_Si, dicono che sono un po’ lenta, mi daranno tutto in nero.
_Bene!
_Già.
_ Sei fortunata!
_Già ..  Cosa c’è per cena?
_Minestra.
_Vado a farmi una doccia
_Veloce che è pronto!

La freddezza di sua madre ormai non la feriva più, i loro discorsi erano sempre essenziali e veloci, sua madre non voleva che Lucia se ne andasse e nascondeva il dispiacere nel distacco.
Sotto l’acqua bollente Lucia si sentiva sciogliere, in quel posto dimenticato da Dio lei era l’unica del suo anno ad essere riuscita a prendere un diploma, avrebbe potuto iniziare a fare l’insegnante nella scuola comunale, c’era un posto vacante,  sembrava fatto apposta per lei, tutti pressavano e nessuno capiva perché non si potesse accontentare di vivere tra le montagne.
Sicuramente non poteva aspettarsi che una comunità così piccola e semplice potesse capire il suo bisogno di realizzare un desiderio, i ragazzi della sua età avevano poche opportunità di trovare un lavoro: barista, operaio in una cava oppure sarta in uno dei mille laboratori a conduzione famigliare che assemblavano l’intimo di marche prestigiose.
Lucia, in attesa che arrivasse settembre cuciva per guadagnare i soldi che l’avrebbero aiutata a partire.
Aveva imparato ad odiare l’intimo femminile in un solo giorno di lavoro, odiava il pizzo, odiava le guepiere, odiava la seta, odiava le persone che si sarebbero potute permettere di acquistare un capo così costoso, odiava il fatto che lei assemblava con cura cose che costavano quanto e più del suo salario, pagato da persone che vivevano in città, la stessa città nella quale desiderava emigrare! 
Ancora sotto la doccia teneva i polpastrelli sotto il getto di acqua calda nel tentativo di provare sollievo, invano, quella leggera pressione era a mala pena sufficiente per risvegliare la pelle indolenzita dall’usura.
_L’acqua! Costa!
_Ho finito!
Neanche una doccia in santa pace!
Lucia era talmente irata contro se stessa che non sapeva come reagire, nella stanza accanto c’era sua madre, con una minestra triste e una valanga di parole  vuote. Lucia gonfiò il petto con due lacrime ai bordi degli occhi e guardando verso l’alto promise a se stessa che non avrebbe abbandonato il suo destino in mezzo ai pascoli e alle mucche,  non poteva  morire nel paese del nulla cucendo mutande o allevando marmocchi per il resto della sua vita, doveva resistere, risparmiare ed emigrare!
La luce della cucina era spenta, per risparmiare corrente, la minestra era slavata e conteneva le verdure coltivate nell’orto oltre ad una manciata di riso in due. Il silenzio di quel pasto era scandito dal tintinnio delle posate e Lucia nella sua mente stava già architettando di dileguarsi subito dopo: gli unici 4 giovani del paese si ritrovavano alla fontana ed Elisa li avrebbe raggiunti, sua madre naturalmente non approvava. 

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