Kassia
sono le due e mezza, dobbiamo fare il giro di controllo!
_Ma
non ho ancora finito il capitolo!
_Kassia!
Sei una perditempo! Alzati!
_Arrivo!
Ma questo libro è davvero interessante! Cosa stai mangiando?
_Confetti.
_E
da dove arrivano?
_Dalla
rompipalle!
_Sei
riuscita a placarla?
_Non
beve quel maledetto the! Ma giuro che se entro mezz’ora non dovesse dormire la
sedo con un pugno in testa!
_Ma
che te frega! Lasciala sveglia! Domani sarà più remissiva! Tu sei troppo
rabbiosa!
_E’
per questo che me ne vado!
_Si
ma cosa credi che in ospedale la gente sia migliore? Sono tutti piangenti,
purulenti, arroganti, impauriti, puzzolenti, scortesi, ignoranti attaccati a
tubi sanguinolenti e vomitano tutti quintali di merda. Perché hai scelto questo
lavoro? Non sopporti nemmeno la morte! Scommetto che alla tua prima autopsia
sei svenuta! Ti devi lasciare scivolare le cose da dosso! Altrimenti non
sopravvivi! Dal giorno in cui te ne andrai controllerò il giornale tutti i
giorni!
_Perché?
_”Infermiera
killer” Uccideva i pazienti per alleviare il mondo dalle piaghe sociali. Ha ha
ha!
_Scema!
Dai allora facciamo che io uomini e tu donne, non fermarti nella stanza della rompistorie!
_Sono
tutti rompistorie!
Sara
fece il suo giro molto velocemente, aveva fatto male a lasciare le donne a
Kassia si sarebbe fatta intortare dalla vecchia! Sapeva che l’avrebbe trovata
in camera con lei, non aveva voglia di ascoltare aneddoti per tutta la notte!
Sistemò due coperte, un catetere, una persiana, l’ossigeno e scoprì un nuovo
morto ma doveva correre da Kassia, in cuor suo lo sapeva, lo sentiva, Kassia
era troppo facile da far abboccare!
_Kassia!
_Sara!
Siediti qui con noi! Vuoi un confetto?
Kassia
era seduta sul letto della sig.ra Lucia e sgranocchiava confetti manco fossero
noccioline.
_Dobbiamo
tornare in guardiola e la signora deve dormire!
_Signorina,
si sieda qui con noi, non ho ancora sonno, prenda un confetto!
_Dai
Sara il prossimo girò è alle sei! Abbiamo tre ore se dormo io non mi sveglio
più!
Sara
lanciò un’occhiata alla tazza sopra il comodino, era vuota, la signora aveva
bevuto il the, con due tavor in corpo si sarebbe addormentata a breve!
_Va
bene, passatemi quei confetti! Di cosa state parlando?
_Esperienze
da infermiere!
_Ooooooooo
e la cosa dovrebbe impressionarmi?
La
signora Lucia le lanciò uno sguardo tagliente
_Sei
una poppante arrogante! Cosa credi di sapere tutto? Credi che il lavoro in
ospedale sia semplice o scontato?
Sara
che si sentiva molto più rilassata rimase immobile in silenzio, si voltò verso
Kassia che rideva sguaiatamente, il suo respiro si era fatto più lento e non
sentiva resistenze, probabilmente non riusciva più a passare una notte completamente
in bianco, stava iniziando a perdere colpi.
_Signora,
sentiamo allora, come ci si comporta in ospedale?
_Bene,
vedo che vuoi ascoltare la mia storia! Allora inizio dal principio: io sono
nata in un piccolo paese sperduto tra le montagne, non c’era e non c’e niente…
_Ecco
perché non voglio ascoltare i pazienti, perché partite sempre a raccontare
l’inizio della vostra vita! Quanti anni devo aspettare prima di arrivare alla
storia vera?
_Cara,
stai zitta! …vuoi un altro confetto?
Sara
allungò la mano ma lo sguardo della signora la fece desistere, era inquietante,
la sua gentilezza era forzata come se lo facesse per costringerla a mangiare,
comunque con flemma quasi innaturale prese un altro confetto e lo portò alla
bocca, si sentiva molto rilassata, si era fatta sopraffare dalla stanchezza
della notte, voltò il viso e si accorse che Kasia la stava osservando da
vicino, troppo vicino! Con la bocca aperta in un mezzo sorriso inebetito e
l’occhio a mezz’asta.
_eeeeeeeeeeeeeestai
zitta…. Dai che voglio sentire…. Dai dai!
Kasia
raccolse un rivolo di bava al lato della bocca
_Kasia
stai bene?
_Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii,
sto benone. Ssssssssssssssssssssssssssssssssst!
_Allora!
Dicevo, sono nata in un paesino sperduto tra le montagne, odiavo quel posto,
non c’era nulla, solo pascoli, mucche e tanti vaccari.
* * *
Le
campane rintoccavano le sei, Lucia odiava quel suono, era come una litania che
echeggiava tra i monti e si perpetuava nella solitudine dei pascoli. La
montagna si scaldava nuovamente dopo un lungo inverno e lei pur riempiendosi i
polmoni di sole detestava l’idea di dover restare bloccata li.
Aveva
terminato la scuola magistrale e ora mancava poco per raggiungere il suo sogno
anche se per poter frequentare l’istituto infermieristico sarebbe dovuta andare
a Milano.
_Ciao
mamma.
_Allora
ti tengono a lavorare?
_Si,
dicono che sono un po’ lenta, mi daranno tutto in nero.
_Bene!
_Già.
_
Sei fortunata!
_Già
.. Cosa c’è per cena?
_Minestra.
_Vado
a farmi una doccia
_Veloce
che è pronto!
La
freddezza di sua madre ormai non la feriva più, i loro discorsi erano sempre
essenziali e veloci, sua madre non voleva che Lucia se ne andasse e nascondeva
il dispiacere nel distacco.
Sotto
l’acqua bollente Lucia si sentiva sciogliere, in quel posto dimenticato da Dio
lei era l’unica del suo anno ad essere riuscita a prendere un diploma, avrebbe
potuto iniziare a fare l’insegnante nella scuola comunale, c’era un posto
vacante, sembrava fatto apposta per lei,
tutti pressavano e nessuno capiva perché non si potesse accontentare di vivere
tra le montagne.
Sicuramente
non poteva aspettarsi che una comunità così piccola e semplice potesse capire
il suo bisogno di realizzare un desiderio, i ragazzi della sua età avevano
poche opportunità di trovare un lavoro: barista, operaio in una cava oppure sarta
in uno dei mille laboratori a conduzione famigliare che assemblavano l’intimo
di marche prestigiose.
Lucia,
in attesa che arrivasse settembre cuciva per guadagnare i soldi che l’avrebbero
aiutata a partire.
Aveva
imparato ad odiare l’intimo femminile in un solo giorno di lavoro, odiava il
pizzo, odiava le guepiere, odiava la seta, odiava le persone che si sarebbero
potute permettere di acquistare un capo così costoso, odiava il fatto che lei
assemblava con cura cose che costavano quanto e più del suo salario, pagato da
persone che vivevano in città, la stessa città nella quale desiderava
emigrare!
Ancora
sotto la doccia teneva i polpastrelli sotto il getto di acqua calda nel
tentativo di provare sollievo, invano, quella leggera pressione era a mala pena
sufficiente per risvegliare la pelle indolenzita dall’usura.
_L’acqua!
Costa!
_Ho
finito!
Neanche una doccia
in santa pace!
Lucia
era talmente irata contro se stessa che non sapeva come reagire, nella stanza
accanto c’era sua madre, con una minestra triste e una valanga di parole vuote. Lucia gonfiò il petto con due lacrime
ai bordi degli occhi e guardando verso l’alto promise a se stessa che non
avrebbe abbandonato il suo destino in mezzo ai pascoli e alle mucche, non poteva
morire nel paese del nulla cucendo mutande o allevando marmocchi per il
resto della sua vita, doveva resistere, risparmiare ed emigrare!
La
luce della cucina era spenta, per risparmiare corrente, la minestra era slavata
e conteneva le verdure coltivate nell’orto oltre ad una manciata di riso in
due. Il silenzio di quel pasto era scandito dal tintinnio delle posate e Lucia
nella sua mente stava già architettando di dileguarsi subito dopo: gli unici 4
giovani del paese si ritrovavano alla fontana ed Elisa li avrebbe raggiunti, sua
madre naturalmente non approvava.
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